Ne usciremo migliori.
Durante il brutto periodo che ha conivolto la maggior parte del mondo civilizzato si diceva così.
E i presupposti che almeno una parte di noi sarebbe riuscita ad ampliare i propri orizzonti per quanto riguarda inclusività, rispetto reciproco, sostenibilità, ritorno a valori più alti ed attenzione per ciò che ci circonda c’erano tutti. Effettivamente tutto questo può accendere l’attenzione verso gli aspetti della vita che magari nel trambusto di tutti i giorni vengono lasciati in ombra. Il nostro stile di vita ha obbligatoriamente rallentato e ci si è potuti accorgere di quanti particolari del nostro vivere giornaliero fossero veramente futili, passeggeri e con un destino preconfezionato diciamo.
Purtroppo certi preconcetti nati negli ultimi 20 anni non sono semplici da smontare e hanno portato molte persone a pensare che tanti articoli non fossero più adatti alla vita “moderna”, avessero un costo troppo alto rispetto alla loro utilità o campo d’utilizzo e che in un’epoca caratterizzata da un’elevata disponibilità di offerta certi valori non fossero più necessari. Si è spinto e si spinge ancora moltissimo su quanto sia bello cambiare outfit tutti i giorni, ogni stagione set nuovi di articoli riempiono gli armadi di molti di noi mentre quello che viene ritenuto vecchio finisce in pattumiera o se proprio va bene in qualche raccolta di abiti usati.

Purtroppo nel tempo c’è stata anche una de-personificazione del concetto stesso dell’articolo in quanto oggetto effettivamente creato, prodotto da qualcuno. Non ci si rende conto che anche quanto viene acquistato ad un prezzo basso non si è materializzato per magia sugli scaffali del negozio e dietro al poco valore che gli riconosciamo è compreso il lavoro di molte persone. Persone che hanno cucito, colorato, montato, smontato, prodotto bottoni, cerniere, fili, tessuti, trasportato, esposto, venduto. Il prezzo che voi pagate comprende tutto questo e anche di più. Sembra quasi che realizzare nella propria testa tutto questo processo sia troppo e non debba riguardarci.

Per quanto posso ho schiacciato sull’acceleratore per quanto riguarda la divulgazione dei valori del bello&benfatto, artigianato e soprattutto consapevolezza negli acquisti. Sono convinto sostenitore del fatto che valga molto più un articolo scelto ed acquistato con attenzione ai materiali ed alla fattura piuttosto che agire d’impulso spinti da sfizi indotti, momenti di passione passeggera. Aprire i propri armadi, estrarre tutto quello che contengono per fare una cernita di quello che effettivamente può esserci ancora utile, appassionarci e attrarci ancora può essere una pratica molto salutare; ci si rende conto in maniera più approfondita di cosa guida i nostri acquisti e desideri e anche di come spendiamo i nostri soldi! Capita di ritrovare oggetti presi e mai utilizzati e di rivalutarne l’effettiva necessità/utilità. Io qui parlo principalmente del mondo legato al fashion ed a quelli articoli che portiamo a spasso per le nostre giornate ben calzati su di noi ma sarebbe riconducibile ad ogni aspetto del nostro vivere. Io però resto nel mio, non voglio sforare anche perché già questo aspetto può influenzare il mondo in cui viviamo e non poco!



In questo vortice è stato trascinato suo malgrado chi vive ideando, creando e vendendo tutto ciò che negli anni la sua esperienza gli ha permesso di concepire, tramandare, immaginare. Chi fa parte del mondo del fatto-a-mano sta vedendo un impoverimento costante e inesorabile del valore di ciò che fa, impoverimento soprattutto a livello concettuale. La stragrande maggioranza delle persone non riesce a concepire come mai un articolo creato da una singola persona partendo da zero ed utilizzando tecniche e materiali particolari possa costare spesso 10, 100, 1000 volte più di un oggetto simile corredato PURE di brand conosciuto a livello globale. Si è riusciti a far pensare che quanto viene prodotto in serie, velocemente e con un apporto minimo di intervento umano sia più affidabile nel tempo e con un livello qualitativo più elevato a prescindere dal valore del materiale con cui è assemblato. E’ stato attuato un processo sistemico di svalutazione dell’operato umano etichettandolo come indice di approsimatività, economicità, scarso rispetto della soddisfazione del cliente e di quanto esso si esponga/impegni economicamente.

Così i laboratori hanno perso il loro ruolo di luoghi di tradizioni e saperi, il fascino che trasmettevano derivante dalla capacità di trasmettere dei valori fisicamente impalpabili ma in grado di fornire uno strumento atto a fornire sostentamento in maniera autonoma è stato via via svilito. Si è voluto puntare il dito sul concetto che una cosa simile fosse foriera di semplice “sopravvivenza” ben lungi dall’opulenza prospettata, ma vera chimera, di quanto si potesse acquisire senza “sporcarsi le mani” grazie ad impieghi con remunerazioni fisse, in luoghi più ordinati, inquadrati e, a volte solo idealmente, più accoglienti. Per carità non dico che il mondo dell’artigianato sia senza peccato eh, anzi. Gli artigiani hanno una gran bella parte di colpa in questo processo. Se da una parte si è denigrato un certo modo di vivere/lavorare dall’altro c’è stata una grande incapacità di affrontare i cambiamenti. Il mondo al di fuori dei laboratori stava e sta evolvendo in vari termini tra cui quello della capacità di collaborare, creare sinergie, inclusività, sostenibilità, apertura e ultimo ma assai importante oggi capacità di presentarsi in maniera interessante al pubblico delle nuove generazioni. Dall’altra parte spesso si è preferito chiudersi nel proprio mondo personale fatto di attrezzi, spazi ridotti, metodi tramandati ma non divulgati al di fuori, diffidenza verso il nuovo e soprattutto verso ciò che viene ritenuto superficiale, non adatto a qualcosa di così pratico, concreto come un articolo creato a mano. Gli artigiani molto spesso hanno operato una sorta di autoghettizzazione che purtroppo ha tagliato loro i contatti con le nuove generazioni e questo perché non si sono resi conto che a differenza di appena 50anni fa non sono più INDISPENSABILI.

L’incapacità di comunicare e di confrontarsi anche con le nuove generazioni di acquirenti sta portando lentamente ma inesorabilmente alla sparizione di molti laboratori. Perché non basta denigrare un articolo di produzione di massa ritenendolo semplicemente dozzinale, sovra prezzato e per questo non degno di attenzione. Invece serve anche spiegare a chi tende ad acquistare questo genere di articoli dove stanno le DIFFERENZE e perché ci sono in ambito di materiali, prezzi, fattura. Altrimenti, ponendo semplicemente un muro di spocchioso disprezzo l’utente finale ha solo la sensazione di veder denigrate le proprie scelte per partito preso, si ha la sensazione che sia solo perché non si compra presso di “loro”. E si allontanano. Chiudersi al mondo tiene distanti quei rari che vorrebbero approfondire e magari imparare, facendo così proliferare quei confronti impietosi che molti artigiani si sentono fare: “perché se nella grande distribuzione questo costa 10 lo stesso articolo da voi costa 150? Perché dovrei prenderlo qui, non ha senso, siete matti, ci vuole un attimo a produrlo, non siete mica lo stilista tizio&caio … ecc ecc ecc “ . Voi non avete idea di quante centinaia di volte io abbia sentito queste argomentazioni!
E’ un serpente che si mangia la coda; molti non riuscendo ad affrontare più certi argomenti, lo svanire della fila di clienti per raggiunti limiti di età/mancato ricambio generazionale degli stessi, incapacità di utilizzare e sfruttare a proprio vantaggio ciò che il mondo odierno mette a disposizione si lasciano svanire, morire. Chiudono. Si arrendono. I possibili clienti lo vedono come un’ineluttabile segno del tempo che giustifica e avvalora ogni tesi riguardante l’anacronismo di certe attività.
Il circolo si chiude, i pochi che resistono puntano giustamente sull’eccellenza e su chi può permettersela ma così si perde e si impoverisce il tessuto medio sia dei servizi sia della clientela. “l’uomo – della – strada” si convince certe cose siano solo bizzarrie da ricchi, che i materiali non siano importanti e che una cosa valga l’altra se non brandizzata in modo universalmente riconosciuto come di valore. Un gran peccato perché ci toglie la possibilità di sperimentare cosa voglia dire un articolo che accompagna per anni il suo possessore, che possa essere riparato evitando così nuove spese, che i segni del tempo magari lo rendano più interessante ed in grado di raccontare e ricordare certi momenti vissuti a lungo negli anni.
Se si vuole davvero salvare non solo un comprato produttivo importante per il nostro paese ma un vero e proprio settore culturale c’è bisogno dell’aiuto di molti attori non ultimo quello rappresentato da chi ci governa. Serve aiuto per riportare nuove leve nei laboratori, serve aiutare chi apre da poco servizi artigianali a farsi conoscere, valorizzare, apprezzare. Bisogna far si che chi prende un apprendista possa permetterselo puntando sul fatto che sia un investimento per il futuro non solo dell’artigiano ma della comunità. Non che sia visto come un lusso che il laboratorio evidentemente può permettersi e quindi un’ulteriore fonte di tassazione. Sostenere le scuole di arti & mestieri.

Ad oggi cercare di far tornare l’interesse per questo tipo di mondo, per le sue peculiarità e qualità sta diventando quasi una battaglia contro i mulini a vento. Sempre più artigiani si domandano “perchè continuare?” in un paese in cui non c’è il minimo indizio di voler rallentare i ritmi in favore di uno stile di vita più consapevole e tornare a valori che potrebbero portare vantaggi a livello economico, sociale e culturale? Quando ho a che fare con qualcuno di loro che vuole gettare la spugna sento tanta amarezza, sfiducia e la maggior parte delle volte non si riesce a far cambiare idea… e io la vivo come una grande sconfitta.
Mi piacerebbe molto se chi sta leggendo questo si fermasse almeno per un attimo a pensare a cosa implicano le sue scelte di tutti i giorni e realizzasse quanto questo possa realmente influenzare il mondo che ci circonda.
Buoni passi.