Buongiorno a tutti
Qualche giorno fa una persona che stimo ha portato la mia attenzione su di un’articolo di #Vogue che, squillino le trombe, afferma quanto segue: il vero lusso è poter riparare!!!! Mamma mia e chi lo avrebbe mai detto? Menomale che ci ha pensato Vogue sennò noi avremmo brancolato nel buio dell’ignoranza più bieca. Ironia a parte, alla buon’ora. E’ una cosa che chi frequenta il mondo dell’artigianato, del fatto a mano, del su misura, su ordinazione ecc ecc… sa da sempre. Però come spesso accade chi ci vive dentro dà per scontato che una cosa ovvia per lui lo sia altrettanto per buona parte del resto del mondo. Ovviamente non è così. Non saremmo qui a parlarne e i lettori di Vogue probabilmente in questi giorni non sarebbero illuminati da un cono di luce mistica…

Ora appurato questo il discorso finisce qui? Per qualcuno magari sì, per me no. Anzi, mi date il “LA” per martellare ancora di più di quanto non abbia già fatto negli anni prima. Perchè il discorso è lungo e se vogliamo anche un po’ complicato e in mezzo ci finisce sempre la mancanza di cultura, attenzione, informazione che avvolge il cliente medio indipendentemente dalla capacità di spesa. Vi spiego cosa intendo. Perchè c’è bisogno che un magazine come Vogue accenda la luce su di un concetto tanto semplice?
Perchè evidentemente negli ultimi 30 anni la spinta di buona parte del mercato globale è stata verso il “quando si rompe lo butto e via” per definire il lusso, l’agiatezza, la tranquillità economica. Questo ha portato l’utente medio a disinteressarsi delle qualità di ciò che comprava perchè nell’animo umano è da sempre insito l’istinto di dimostrare che si è “degni di….” o “uno scalino sopra a…” e per arrivare a poter dimostrare questo cosa c’è di più semplice, liberatorio e pompa-ego del poter buttare-e-ricomprare?

Ovviamente questo indipendentemente dal grado di benessere a cui si può aspirare; ricchi o poveri ognuno nel suo habitat ha per anni fatto o anelato di poter fare, così. Ciò, come già detto, probabilmente ha influenzato anche le abitudini dei figli e gli echi degli insegnamenti dei nonni erano ormai sempre più lontani. Con sommo gaudio dei brand eh, crederete mica che questa tendenza abbia offeso i nobili lignaggi dei marchi storici? Chi si straccerebbe le vesti se il cliente affezionato passasse dal far riparare ad acquistare un pezzo nuovo magari dello stesso brand? Andiamo ancora più in profondità, credete sia gratis mantenere manovalanza e sistema di gestione ricezione-valutazione-spedizione? Credete che un brand guadagni di più vendendo un paio di scarpe nuove top di gamma o riparandone? Credete sia facile la formazione del personale, mantenere un archivio dei pezzi, pellami, colori, forme? Credete sia gratis per un brand stoccare tutto questo? Come pensate si svuotino i magazzini di pezzi prodotti?

Quindi immaginate quanto sarà dispiaciuto a chi “tiene la contabilità” constatare che avrebbero potuto così abbassare le spese senza perdere in guadagni, ANZI era giunto il momento giusto per abbassare la qualità!!! EUREKA, nessuno dei nuovi clienti se ne sarebbe accorto perchè la cultura sta morendo ed era assolutamente importante continuasse così. E così è stato. Basta fare un giretto in una boutique di lusso qualsiasi, ve ne faccio un esempio al volo qui sotto:

Quelli in legno sono tacchi di lusso, che trovate solitamente (ormai quasi solamente) nelle scarpe su misura. Quelli con i puntini colorati sono tacchi in plastica che come potete vedere non sono prerogativa solo degli articoli da mercato. Attenzione, dico TACCHI non soprattacchi. Nelle foto ho evidenziato con puntini colorati le zone di fissaggio del soprattacco in plastica al tacco in plastica. Che all’interno sarà quasi completamente cavo, con un bel risultato: suonerà come un tamburo durante la camminata e si rischia di scivolare più facilmente perchè il soprattacco DEVE essere di plastica per reggere il lavoro e il peso ( appoggiati sul nulla ) e se comunque dovesse partire la riparazione non sarà né molto semplice né di sicura tenuta perchè la base su cui si lavora è farlocca. – Ma costano molto ugualmente.

Ho passato anni in laboratori di riparazione di scarpe e borse, dalle più banalotte a quelle di lusso estremo. E sorrido quando un giornale si spertica in elogi di un brand che ripara calzature, per quanto sia una cosa assolutamente gradita. Sorrido perchè intanto non ci vuole molto a capire come mai esca ora un’articolo del genere e poi perchè mi domando se il giornalista abbia chiesto quanto tempo sia necessario per avere la scarpa riparata dal produttore e quale sia il prezzo. Io posso dirvi che in un periodo vicino della mia vita ho passato 2 anni ad un ritmo di 2 paia al giorno di calzature goodyear uomo a cui ho ripristinato la suola in toto portate da clienti che non volevano aspettare i tempi prospettati dai brand oppure, ed è peggio, non erano nemmeno al corrente che il brand da loro amato offrisse quel servizio. E questo è molto grave perchè finchè una scelta è dettata da una qualche convenienza di tempistica-economica è una scelta comunque personale ma quando è guidata da un’ignoranza qui c’è anche il “concorso di colpa” da parte del brand.( E anche a questo proposito avrei aneddoti ma poi ci dilunghiamo troppo.) Perchè o chi ha venduto la scarpa non ha ritenuto necessario farlo oppure… …
Ma ADESSO spuntano fanciulleschi aneddoti sulla tradizione della riparazione, 9 mesi fa era roba da poveracci. Se chi vende determinati articoli, qualunque essi siano, non mette in luce tra i pregi del prodotto la possibilità che esso sia riparabile grazie alle sue qualità… beh chi dovrebbe farlo?! Comunque, frecciate a parte, il problema di fondo resta sempre quello; cancellazione della cultura. Una mancanza sistematica, reiterata e grave per quanto concerne la percezione del reale VALORE DELLE COSE. Il loro valore viene dato dalla qualità e per lungo tempo alta qualità ha voluto dire possibilità di ripristino. Sempre da mani esperte ovvio ma la certezza di poter contare sul fatto che un oggetto fosse tanto ben realizzato/progettato da poter essere riparato N volte con pezzi originali o meno ma comunque la struttura lo avrebbe concesso, sopportato. E sarebbe tornato utilizzabile. E più sono i pezzi indipendenti tra loro più accurata ed efficace può essere la riparazione. E più sono questi pezzi più lavoro c’è dietro sia di realizzazione che di progettazione. Quindi è costato di più produrlo ma con un’ intento ben preciso che non sarà stato quello di spennare il cliente ma anzi, conquistarlo con un’ oggetto che possa accompagnarlo nel tempo e nella vita. Io ho articoli che hanno 15-20-35 anni e a volte mi fermo a pensare guardandoli, cosa hanno affrontato, visto, superato nella vita assieme a me. E ne hanno i segni, fisici, ma sono bellissimi anche per questo.
E quindi si, sostenibile è ciò che può non solo durare a lungo ma soprattutto che possa essere riparato, modificato perchè così facendo porta a un minor numero di acquisti. L’impronta ecologica di un articolo simile sarà sempre più bassa di quello di un usa-e-getta e anche la resa economica sarà ben diversa. E cercate anche nei mercatini, perchè no io lo faccio sempre e trovo ottimi affari che durano anni. Poi date spazio alla fantasia facendo modificare o adattare e così darete anche lavoro a qualcun’altro. E pensate a quanto positivo sarà l’impatto di quell’articolo sull’economia. Che diventa davvero circolare.

Quindi volete essere più sostenibili? 1) Comprate meno ma di vera qualità che non viene data sempre dal prezzo 2) quando comprate domandate quante più informazioni possibili al negoziante, anche se offrono loro stessi un servizio di riparazione ad esempio 3) fatevi una cultura di base per quanto riguarda i material 4) cercate anche nell’usato “di razza”, avrete grandissime sorprese. Il sermone è finito, andate in pacifica sostenibilità e che San Vogue continui a rinfrescare le giovani menti sui principi essenziali del bello&benfatto nonché criteri di sostenibilità vera. Dopotutto come dico spesso l’importante è che qualcuno con adeguata “potenza di fuoco” accenda i riflettori su di un’ argomento utile a tutti.
Io, che non ho quel seguito, continuerò a farlo sperando si aggiungano altri. Buoni passi e a presto.
Giacomo