Vi conviene volare così basso?

Ne usciremo migliori. 

Durante il brutto periodo che ha conivolto la maggior parte del mondo civilizzato si diceva così. 

E i presupposti che almeno una parte di noi sarebbe riuscita ad ampliare i propri orizzonti per quanto riguarda inclusività, rispetto reciproco, sostenibilità, ritorno a valori più alti ed attenzione per ciò che ci circonda c’erano tutti. Effettivamente tutto questo può accendere l’attenzione verso gli aspetti della vita che magari nel trambusto di tutti i giorni vengono lasciati in ombra. Il nostro stile di vita ha obbligatoriamente rallentato e ci si è potuti accorgere di quanti particolari del nostro vivere giornaliero fossero veramente futili, passeggeri e con un destino preconfezionato diciamo.  

Purtroppo certi preconcetti nati negli ultimi 20 anni non sono semplici da smontare e hanno portato molte persone a pensare che tanti articoli non fossero più adatti alla vita “moderna”, avessero un costo troppo alto rispetto alla loro utilità o campo d’utilizzo e che in un’epoca caratterizzata da un’elevata disponibilità di offerta certi valori non fossero più necessari. Si è spinto e si spinge ancora moltissimo su quanto sia bello cambiare outfit tutti i giorni, ogni stagione set nuovi di articoli  riempiono gli armadi di molti di noi mentre quello che viene ritenuto vecchio finisce in pattumiera o se proprio va bene in qualche raccolta di abiti usati. 

Purtroppo nel tempo c’è stata anche una de-personificazione del concetto stesso dell’articolo in quanto oggetto effettivamente creato, prodotto da qualcuno. Non ci si rende conto che anche quanto viene acquistato ad un prezzo basso non si è materializzato per magia sugli scaffali del negozio e dietro al poco valore che gli riconosciamo è compreso il lavoro di molte persone. Persone che hanno cucito, colorato, montato, smontato, prodotto bottoni, cerniere, fili, tessuti, trasportato, esposto, venduto. Il prezzo che voi pagate comprende tutto questo e anche di più. Sembra quasi che realizzare nella propria testa tutto questo processo sia troppo e non debba riguardarci. 

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Per quanto posso ho schiacciato sull’acceleratore per quanto riguarda la divulgazione dei valori del bello&benfatto, artigianato e soprattutto consapevolezza negli acquisti. Sono convinto sostenitore del fatto che valga molto più un articolo scelto ed acquistato con attenzione ai materiali ed alla fattura piuttosto che agire d’impulso spinti da sfizi indotti, momenti di passione passeggera. Aprire i propri armadi, estrarre tutto quello che contengono per fare una cernita di quello che effettivamente può esserci ancora utile, appassionarci e attrarci ancora può essere una pratica molto salutare; ci si rende conto in maniera più approfondita di cosa guida i nostri acquisti e desideri e anche di come spendiamo i nostri soldi! Capita di ritrovare oggetti presi e mai utilizzati e di rivalutarne l’effettiva necessità/utilità. Io qui parlo principalmente del mondo legato al fashion ed a quelli articoli che portiamo a spasso per le nostre giornate ben calzati su di noi ma sarebbe riconducibile ad ogni aspetto del nostro vivere. Io però resto nel mio, non voglio sforare anche perché già questo aspetto può influenzare il mondo in cui viviamo e non poco! 

In questo vortice è stato trascinato suo malgrado chi vive ideando, creando e vendendo tutto ciò che negli anni la sua esperienza gli ha permesso di concepire, tramandare, immaginare. Chi fa parte del mondo del fatto-a-mano sta vedendo un impoverimento costante e inesorabile del valore di ciò che fa, impoverimento soprattutto a livello concettuale. La stragrande maggioranza delle persone non riesce a concepire come mai un articolo creato da una singola persona partendo da zero ed utilizzando tecniche e materiali particolari possa costare spesso 10, 100, 1000 volte più di un oggetto simile corredato PURE di brand conosciuto a livello globale. Si è riusciti a far pensare che quanto viene prodotto in serie, velocemente e con un apporto minimo di intervento umano sia più affidabile nel tempo e con un livello qualitativo più elevato a prescindere dal valore del materiale con cui è assemblato. E’ stato attuato un processo sistemico di svalutazione dell’operato umano etichettandolo come indice di approsimatività, economicità, scarso rispetto della soddisfazione del cliente e di quanto esso si esponga/impegni economicamente.  

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Così i laboratori hanno perso il loro ruolo di luoghi di tradizioni e saperi, il fascino che trasmettevano derivante dalla capacità di trasmettere dei valori fisicamente impalpabili ma in grado di fornire uno strumento atto a fornire sostentamento in maniera autonoma è stato via via svilito. Si è voluto puntare il dito sul concetto che una cosa simile fosse foriera di semplice “sopravvivenza” ben lungi dall’opulenza prospettata, ma vera chimera, di quanto si potesse acquisire senza “sporcarsi le mani” grazie ad impieghi con remunerazioni fisse, in luoghi più ordinati, inquadrati e, a volte solo idealmente, più accoglienti. Per carità non dico che il mondo dell’artigianato sia senza peccato eh, anzi. Gli artigiani hanno una gran bella parte di colpa in questo processo. Se da una parte si è denigrato un certo modo di vivere/lavorare dall’altro c’è stata una grande incapacità di affrontare i cambiamenti. Il mondo al di fuori dei laboratori stava e sta evolvendo in vari termini tra cui quello della capacità di collaborare, creare sinergie, inclusività, sostenibilità, apertura e ultimo ma assai importante oggi capacità di presentarsi in maniera interessante al pubblico delle nuove generazioni. Dall’altra parte spesso si è preferito chiudersi nel proprio mondo personale fatto di attrezzi, spazi ridotti, metodi tramandati ma non divulgati al di fuori, diffidenza verso il nuovo e soprattutto verso ciò che viene ritenuto superficiale, non adatto a qualcosa di così pratico, concreto come un articolo creato a mano. Gli artigiani molto spesso hanno operato una sorta di autoghettizzazione che purtroppo ha tagliato loro i contatti con le nuove generazioni e questo perché non si sono resi conto che a differenza di appena 50anni fa non sono più INDISPENSABILI.  

L’incapacità di comunicare e di confrontarsi anche con le nuove generazioni di acquirenti sta portando lentamente ma inesorabilmente alla sparizione di molti laboratori. Perché non basta denigrare un articolo di produzione di massa ritenendolo semplicemente dozzinale, sovra prezzato e per questo non degno di attenzione. Invece serve anche spiegare a chi tende ad acquistare questo genere di articoli dove stanno le DIFFERENZE e perché ci sono in ambito di materiali, prezzi, fattura. Altrimenti, ponendo semplicemente un muro di spocchioso disprezzo l’utente finale ha solo la sensazione di veder denigrate le proprie scelte per partito preso, si ha la sensazione che sia solo perché non si compra presso di “loro”. E si allontanano. Chiudersi al mondo tiene distanti quei rari che vorrebbero approfondire e magari imparare, facendo così proliferare quei confronti impietosi che molti artigiani si sentono fare: “perché se nella grande distribuzione questo costa 10 lo stesso articolo da voi costa 150? Perché dovrei prenderlo qui, non ha senso, siete matti, ci vuole un attimo a produrlo, non siete mica lo stilista tizio&caio … ecc ecc ecc “ . Voi non avete idea di quante centinaia di volte io abbia sentito queste argomentazioni! 

E’ un serpente che si mangia la coda; molti non riuscendo ad affrontare più certi argomenti, lo svanire della fila di clienti per raggiunti limiti di età/mancato ricambio generazionale degli stessi, incapacità di utilizzare e sfruttare a proprio vantaggio ciò che il mondo odierno mette a disposizione si lasciano svanire, morire. Chiudono. Si arrendono. I possibili clienti lo vedono come un’ineluttabile segno del tempo che giustifica e avvalora ogni tesi riguardante l’anacronismo di certe attività. 

Il circolo si chiude, i pochi che resistono puntano giustamente sull’eccellenza e su chi può permettersela ma così si perde e si impoverisce il tessuto medio sia dei servizi sia della clientela. “l’uomo – della – strada” si convince certe cose siano solo bizzarrie da ricchi, che i materiali non siano importanti e che una cosa valga l’altra se non brandizzata in modo universalmente riconosciuto come di valore. Un gran peccato perché ci toglie la possibilità di sperimentare cosa voglia dire un articolo che accompagna per anni il suo possessore, che possa essere riparato evitando così nuove spese, che i segni del tempo magari lo rendano più interessante ed in grado di raccontare e ricordare certi momenti vissuti a lungo negli anni.   

Se si vuole davvero salvare non solo un comprato produttivo importante per il nostro paese ma un vero e proprio settore culturale c’è bisogno dell’aiuto di molti attori non ultimo quello rappresentato da chi ci governa.  Serve aiuto per riportare nuove leve nei laboratori, serve aiutare chi apre da poco servizi artigianali a farsi conoscere, valorizzare, apprezzare. Bisogna far si che chi prende un apprendista possa permetterselo puntando sul fatto che sia un investimento per il futuro non solo dell’artigiano ma della comunità. Non che sia visto come un lusso che il laboratorio evidentemente può permettersi e quindi un’ulteriore fonte di tassazione.  Sostenere le scuole di arti & mestieri.  

Ad oggi cercare di far tornare l’interesse per questo tipo di mondo, per le sue peculiarità e qualità sta diventando quasi una battaglia contro i mulini a vento. Sempre più artigiani si domandano “perchè continuare?” in un paese in cui non c’è il minimo indizio di voler rallentare i ritmi in favore di uno stile di vita più consapevole e tornare a valori che potrebbero portare vantaggi a livello economico, sociale e culturale? Quando ho a che fare con qualcuno di loro che vuole gettare la spugna sento tanta amarezza, sfiducia e la maggior parte delle volte non si riesce a far cambiare idea… e io la vivo come una grande sconfitta.  

Mi piacerebbe molto se chi sta leggendo questo si fermasse almeno per un attimo a pensare a cosa implicano le sue scelte di tutti i giorni e realizzasse quanto questo possa realmente influenzare il mondo che ci circonda.  

Buoni passi.   

PELLE & SOSTENIBILITA’ ; possono convivere?

Negli ultimi anni c’è stata una sorta di demonizzazione degli articoli in pelle. Questo perché come molti pensano per creare un articolo in pelle serve UCCIDERE un essere vivente e dal punto di vista morale questo è fondamentalmente sbagliato dato che non viviamo nell’era delle caverne e non ne abbiamo estremo bisogno per ripararci. Fortunatamente. Il ragionamento in sé non farebbe una grinza se non fosse che la stragrande maggioranza delle volte gli articoli in pelle non sono la conseguenza di un omicidio per dei beni fini a sé stessi. Esatto, perché in realtà quasi tutti gli articoli in pelle sono ottenuti dagli scarti dell’industria alimentare.

Forte eh, chissà quanti di voi non ci avevano mai pensato ?! Ovviamente stiamo parlando di pellami comuni come vitello o agnello ad esempio che però rappresentano da soli la stragrande maggioranza. E già così potete cominciare a vedere che tanto male un articolo in pelle non è poiché anzi produce una sorta di riciclo e riutilizzo di una parte che altrimenti andrebbe buttata con enorme spreco. Poi perché è possibile considerarlo un materiale sostenibile? Perché la sostenibilità non deriva solamente dal processo per avere il materiale in sé ma dipende in grande parte anche dalla DURATA e dalla possibilità di RIPARAZIONE o meno che un articolo presenta.

E qui vi sfido a battere la pelle. E’ innegabile che un BUON articolo in pelle se trattato con le giuste attenzioni sia praticamente eterno. Quanti di voi hanno ereditato giacche, gonne, borse, cappotti e chi più ne ha più ne metta da amici, parenti? E vogliamo parlare di quelli che si trovano nei mercatini dell’usato? Spesso hanno mantenuto le loro qualità a dispetto degli anni ed altrettanto spesso per farli tornare morbidi bastano semplici trattamenti.

Continuiamo, quale altro materiale è facilmente lavorabile e permette ad un capo-articolo di essere rimodellato o rimesso a modello a seconda del cambio delle mode-tendenze? Andiamo avanti con le qualità: tiene bene la pioggia, il vento, la sabbia, più invecchia più aumenta il fascino grazie alle sfumature che assume.

Pensate alle scarpe in pelle o cuoio, sono capaci di durare decenni con pochi accorgimenti, sono modificabili spesso a piacimento del proprietario e se si danneggiano sono riparabili più facilmente. Quindi in cosa si traduce tutto ciò? Ovvio, una maggiore durata della vita di un articolo diventa automaticamente una minore necessità di acquisto o rinnovo guardaroba. La maggior parte dello spreco odierno di materiali e risorse è dovuto alla durata sempre minore della maggior parte degli articoli che acquistiamo. Materiali e confezionamento scadenti non possono che portare a risultati scadenti. Questo vale anche per la pelle eh, un articolo dal prezzo troppo conveniente nasconde sempre delle sorprese. Valutate spessore, morbidezza, peso ed ODORE di quanto state per comprare. Con poca attenzione in più potrete fare ottimi affari che si tradurranno già nel breve periodo in un buon risparmio di denaro dovuto a tutti i fattori di cui sopra.

Volete VERAMENTE aiutare la lotta allo spreco e all’uccisione di animali? Bene, allora DIMINUITE DRASTICAMENTE IL VOSTRO CONSUMO DI CARNE. Non vi sto dicendo di diventare vegetariani o vegani, ma di ridurre. Io sono passato da 4 volte a settimana (!!!) a 2-3 volte al mese. Sto benissimo e più che in forma, basta calibrare un minimo la dieta. La produzione massiva di carne a scopo alimentare è da sola responsabile di: elevate emissioni di gas serra ( anche le semplici flatulenze dei bovini <non ridete> contribuiscono molto! ) , disboscamento per aumento pascoli e produzione di foraggi, elevatissimo consumo idrico, allevamento intensivo in condizioni agghiaccianti, impoverimento del tessuto sociale in molti paesi.

Non poco mi pare eh?! Ripeto, non serve diventare vegetariani anche a me la carne piace e non riesco a privarmene del tutto, ma RIDURRE farebbe bene a tutti i livelli.

Come in TUTTI i campi la virtù sta nel mezzo. Quindi vanno benissimo nuovi materiali che derivano da tessuti riciclati, legno, fungo, cocco, alghe e chi più ne ha più ne metta ma non disprezzate la cara vecchia pelle perché può dare e darà grosse soddisfazioni a chi saprà scegliere e prendersi cura di lei ancora molto molto molto a lungo.

Buoni passi e a presto!

Giacomo.

Come assaporare veramente lo shopping?!

Avete mai potuto notare la differenza dello shopping effettuato presso la boutique di molti brand globali e quella in un negozio specializzato?

Quant’è bello entrare in un piccolo negozio?

Diciamocelo, di solito quando entri in un negozio che sia di una grande catena multimarca, qual’è il massimo dell’attenzione a cui possiamo aspirare? Un frettoloso “buongiorno-le serve qualcosa in particolare?-se ha bisogno chieda pure-le sta benissimo si vede che è proprio il suo stile-” Il più delle volte ripetuto o seguiti a distanza come puntati da attenti predatori.

E ci si infastidisce.

Molto spesso chi lavora in certi ambienti non lo fa per passione o per una vera vocazione professionale, il più delle volte è un passaggio da uno store all’altro, da un brand all’altro, da un momento di vita più o meno lungo fino al successivo. Quindi la formazione data è centrata solo a quello, alla vendita rapida. Alla quantità. A questo si è spronati. Difficilmente chi riceve questo approfondirà il tema per il solo gusto o piacere personale. Le qualità richieste sono: “velocità, capacità di raggiungere gli obiettivi preposti dallo store-manager, lavoro di squadra, gestione dello stress, flessibilità oraria”

Punto.

Il discorso cambia quando si entra in un negozio singolo, diciamo, che tratta articoli non necessariamente di alto livello ma comunque con una particolare attenzione alla qualità dei materiali ed allo stile. Questo spesso porta ad avere anche una certa attenzione al servizio offerto al cliente, che sia storico o di passaggio. Perché è facile che chi entra in un certo tipo di attività abbia una sorta di amore non solo verso ciò che compra ma soprattutto verso il suo tempo e come gradisca passarlo. Chi vende sa che può aver a che fare con persone di una certa pignoleria diciamo, che vogliono soddisfatte anche loro particolari curiosità inerenti composizione, costruzione, provenienza. Quindi è sicuramente formato e se non è il proprietario dell’attività è stato scelto quantomeno per la sua attenzione a quel prodotto in particolare. Capita di incontrare chi ha una vera e propria passione per ciò che vende e allora lì difficilmente non scatta la sintonia venditore-cliente.

Partono i consigli, i confronti, i suggerimenti estetici più mirati. Dite la verità, se vi è mai capitato in questi casi quanto è più soddisfacente lo shopping? Ancora di più se il venditore capisce che si tratta di qualcosa di speciale per voi. Se invece siete dei novellini di un certo tipo di acquisto ma vi mostrerete genuinamente curiosi e disponibili a farsi consigliare difficilmente un buon venditore vi deluderà.

E qui torniamo al vecchio discorso se vedete un articolo che vi piace, il prezzo non è un problema ma l’insegna o il nome del negozio non vi dice nulla….e andiamo! Superate le diffidenze ed entrate, potreste cominciare a scoprire un mondo nuovo fatto di contatto umano, empatia, assistenza, qualità.

Il mio lavoro consiste anche in quello, prendervi per mano e soddisfare qualunque vostra necessità riguardante l’acquisto di calzature facendo in modo che ovunque vi troviate possiate avere al vostro fianco chi si occupi della vostra soddisfazione duratura. Vi posso guidare alla scoperta di un mondo esclusivo ed affascinante fatto di qualità, stile, passione.

Buoni passi

Giacomo

COME SIAMO NOI DEGLI ANNI ’80 (o quasi) ?!

Come stiamo influenzando questo momento storico noi nati negli ultimi anni 70 – inizio 80? E come lo stiamo vivendo?

Buongiorno a tutti; sono nato nel 1977, ho 43 anni e qualcosina ed ora cercherò di analizzare come questo abbia influito sul mio modo di percepire ed affrontare certi argomenti.

L’argomento principe in questione sarà la sostenibilità, il riciclo ed il riuso. Stavamo affrontando in un post su Linkedin il tema del come mai in Italia non ci siano grandi brand che abbiano fatto della sostenibilità la loro principale bandiera, esponendo i capi creati con questo principio in prima linea nelle vetrine e nei social, spiegando perchè questo sia importante e come ci si possa arrivare.

Si ragionava sulla questione se l’italiano medio fosse pronto ad affrontare seriamente un argomento del genere e se non lo sia, come mai. Così ho pensato a me ed alla maggior parte delle persone che conosco che sono tutti se non coetanei, quasi. E cosa ci accomuna di più se non il periodo in cui siamo nati & cresciuti? Un periodo direi di benessere in Italia, in cui le nostre famiglie potevano cominciare a godere di un certo benessere cercando di trasmettere anche a noi questo status mentale. Negli anni ’80 si ebbe un certo boom, che fosse reale o “pompato” non importa perchè in quel periodo noi ragazzi vivevamo con i primi cartoni animati giapponesi; quindi una certa visione del futuro, pubblicità martellanti che spingevano ad acquistare beni inutili ma stilisticamente affascinanti e strutturalmente “avanti”, cibo spazzatura super colorato e dolcificato.

Ed in tv ed al cinema venivano proposti concetti di successo legati alla furbizia, l’ostentazione, l’arrivismo, il farcela ad ogni costo (vi ricordo le serie di cinepanettoni o film tipo “una poltrona per due” che parla di tutto fuorchè principi sani ma da 30 anni film cult italiano… fatevi 2 conti ) . Non ultimo il movimento dei “PANINARI” ricordate? Brand all’ennesima potenza con i primi schieramenti di fan ed articoli super visibili e costosi anche se, spesso, di buona qualità (ma questa è un’altra storia)

Quei ragazzi al momento hanno appunto 40-50 anni ed hanno un background culturale così: usa e getta, nuovo e più grande è meglio, tutto ciò che non ne fa parte è da perdenti o “nerds”. E da qualche parte questo è rimasto infondoinfondo in noi. E non crediate che questo sia sfuggito al mercato, per cosa credete siano fatte certe campagne che sfruttano l’effetto nostalgia, chi credete che sia il target? NOI, che ora possiamo permetterci quello che all’epoca dovevamo chiedere ai genitori di comprarci.

Comunque, ora i componenti di questa generazione si trovano anche nei “posti di comando” di molte aziende, hanno un potere d’acquisto e famiglie. E tutto questo verrà in parte influenzato da quel background, arrivando in una certa misura consapevolmente o meno anche ai figli.

E così arriviamo alla questione sostenibilità. Ho pensato per quanto tempo non avessi granchè considerato questo fattore o rispetto del sistema mondo inteso come ecologia e il prossimo tuo. Saranno 4 anni non di più che mi interesso di ciò e vedo la vastità delle implicazioni che comporta. Da un lato abbiamo ancora una certa reattività e ricettività mentale che ci aiuta ad accogliere certi concetti, da un lato però siamo anche tra quelli che psicologicamente stiamo subendo di più l’impatto del crollo di un sistema simile, soprattutto quest’anno. Molti brand per noi storici non esistono più ed uno di questi, Rifle, è appena fallito. Altro colpo. Tutto il vecchio background sta crollando, lo sperpero non è più nemmeno immaginabile per molti e ci si accorge di quanto tutto abbia influenzato profondamente il mondo di oggi.

Le connessioni web impongono che non ci si caxxeggi solamente, ma ci si informi e si entri a far parte davvero di un mondo interconnesso su tutti i livelli. Eravamo abituati ad identificare i “VERDI” come una comunità di strani fricchettoni naif, se non addirittura COMUNISTI (!) che si facevano un sacco di problemi inutili riguardo ad un sistema mondo che vedevano come assolutamente distante ed ininfluente. Era superfluo, lo abbiamo etichettato come tale e ce lo siamo portati dietro fino ad oggi. Tutt’ora faticano a trovare spazio questi argomenti all’interno della campagne pubblicitarie, all’interno degli obiettivi dei brand, all’interno delle stesse produzioni dove qualità è ancora adesso meno importante di quantità. Ed ora, pianopiano, ci stiamo accorgendo che probabilmente avevano ragione “loro” ad occuparsene prima. E dovremmo -dovremo- rimetterci in discussione su tutto. Ce la faremo? E in quanti, e saremo in tempo per farlo? E i nostri figli, come e cosa recepiranno di questo?

Io dico che siamo in tempo, che abbiamo la testa e le conoscenze giuste per farlo perchè siamo nati e cresciuti a cavallo di due momenti storici cruciali e fondamentali per il pianeta e dobbiamo usare questo come risorsa: costruire il futuro attingendo anche da quel passato che abbiamo vissuto NON TROPPO tempo fa. E conviene darsi da fare perchè mente noi qui stiamo a pensare che non sia tutto così importante e molti vorrebbero che dopo tutto questo tracollo il mondo commerciale tornasse come prima, il resto del globo và avanti. Da fiducia alla visione di brand giovani, a nuovi materiali, al riavvicinarsi a concetti che erano stati dati per spacciati, quali il “second-hand” , il riuso o la trasformazione di articoli datati in articoli attualizzati.

L’ho già detto un’altra volta: siamo stati a lungo il punto di riferimento della moda e della sua evoluzione e massima espressione di qualità ma questo primato non si mantiene solo dormendo sugli allori. Altri popoli stanno scoprendo questo mondo e facendo propria una certa cultura del bello e ben fatto, imparando a esserne loro stessi i creatori ed ambasciatori di meraviglia nel mondo. Diamoci da fare. Dobbiamo riformare la cultura di ciò che è bello e ben fatto (non solo a livello di materiali ma anche di responsabilità sociale ) a prescindere dal brand appiccicato sopra. Ed abbiamo la responsabilità di farlo anche dei confronti dei nostri figli. DIAMOCI DA FARE.

Buoni passi e a presto.

Giacomo.

Come valutare scarpe da 25 euro???

Possono delle scarpe da 25 euro avere delle qualità apprezzabili?

Qualche tempo fa mi sono arrivate tra le mani queste. Mancava il sottopiede ed erano senza scatola quindi non potevo sapere chi le avesse prodotte. Ma il numero è il mio e mi era stato detto “provale e fammi sapere cosa ne pensi”.

PRIME IMPRESSIONI appena prese in mano: Tomaia in pelle, scarsa qualità ma pelle. Scamosciata. Molto morbida. Colorazione piattissima, in questa tonalità dava veramente l’impressione del cartone. Collarino imbottito rivestito in finta pelle dello stesso tono di colore della tomaia. Lacci in cuoio, apparentemente anche di discreta qualità. Suola in gomma a base siliconica, morbidissima, senza infrasuola, monoblocco ma incredibilmente CUCITA alla tomaia. Si, la cucitura che si vede sul carroarmato è vera. Su di una scarpa con queste caratteristiche è stata davvero una sorpresa. La fodera è sintetica.

PRIMO UTILIZZO: La scarpa è morbidissima, sembra quasi di avere addosso delle ciabattone. Non ritiene quasi nulla, la struttura è totalmente lasca ma fortunatamente si allaccia bene e anche lasciando gli ultimi due occhielli vuoti ma stringendo bene, il piede ha un minimo di tenuta che da sicurezza. La suola è molto leggera, se provate ad appoggiarla allo spigolo di uno scalino vedrete i denti del battistrada piegarsi! E sopratutto è tremendamente scivolosa sul bagnato, una saponetta! I lacci funzionano benissimo, i nodi non si mollano. Il comfort di camminata è buono ma serve un sottopiede in pelle quantomeno. Purtroppo la fodera sintetica non è ovviamente possibile cambiarla e questo si traduce in scarsa traspirabilità e poco isolamento termico, in inverno pieno mi sa faranno soffrire il freddo. Il colore è tremendo ma vederle indossate non sono niente male.

Ok, a questo punto faccio qualche ricerca sul web e scopro chi le produce: ve lo dico alla fine 😉 E scopro anche il prezzo: 25 euro! Questo modello è il più economico, quello non scamosciato sta sui 36…! Bon, ora possiamo veramente valutare bene il rapporto qualità prezzo.

MIGLIORIAMOLE. Innanzitutto il colore agghiacciante: iniziamo spazzolandole con una spazzola di ottone adatta al camoscio. Darà un po’ di vita al “pelino” ultracompresso e lo preparerà ad assorbire un po’ di colore spray. Sono facilmente reperibili nei negozi specializzati, danno colore al camoscio e un minimo di impermeabilizzazione. Io l’ho spruzzato volontariamente in maniera non uniforme, così da creare ombre e variazioni di tonalità rendendone meno piatta l’estetica. Utilizzo un colore “marrone medio”. Tre passate a distanza di 30′ una dall’altra. Risponde benissimo, assorbe molto bene e sfuma dando un tono più reale.

COMFORT: si può far poco e la scarpa di per sé non è male, inserisco un sottopiede in vera pelle morbido, profumato e traspirante. Non lo fisso con collanti proprio per mantenere queste caratteristiche e migliorare un po’ quelle della scarpa.

SUOLA: di qualità scarsa ma provo un trucchetto, consumo leggermente la patina lucida che la ricopre con la carta vetrata passata leggermente.

LACCI: troppo lunghi se non si usano tutti gli occhielli, li taglio di almeno 6cm. Sono sorprendentemente buoni.

Eccole dopo le operazioni: tenete conto che prima la tomaia aveva quasi lo stesso colore del collarino imbottito …

IMPRESSIONI POST-OPERAZIONI.

Prova estetica assolutamente passata, anche perchè ho cominciato subito ad utilizzarle il più possibile e in condizioni atmosferiche pessime. Lo scopo è dare un tono di vita-vissuta al pellame con segni, pieghe e magari qualche strisciata. Ad onor del vero ho anche utilizzato un ottimo impermeabilizzante di rinforzo in seguito e l’efficacia è migliorata ma la qualità del pellame non permette miracoli. Dopo un po’ l’acqua passa. Comunque di primo acchito sono molto più personali. Il sottopiede anche se leggero fa il suo, comodo e isola un po’, purtroppo il resto della fodera in certe condizioni fa sudare il piede e immediatamente dopo fa sentire un po’ di freddo, almeno con calze leggere. Il grip è migliorato molto! Non si scivola più, in nessun caso. Piacevolmente stupito. Però sono veramente delle ciabatte ma come detto prima l’allacciatura efficace sopperisce alla mancanza di “nervo” della struttura.

Potete notale i punti della cucitura della suola e le sbucciature dovute alla carta vetrata e all’utilizzo intenso.
Sottopiede in vera pelle della “Coimbra”, io li trovo davvero buoni.

CONCLUSIONI:

Io quando testo un paio di scarpe non scherzo, vivo a Venezia e faccio il 98% del tragitto giornaliero a piedi e non sono mai meno di 6km. E’ capitato le usassi anche tutto il giorno ultimamente e non ho mai avuto il piede stanco o dolorante, così come la schiena. Per sopperire alla mancanza di isolamento termico ho utilizzato delle calze tecniche da trekking leggero e non ho più avuto freddo. Personalmente lo stile mi piace, riprende quello di certe mocassini alti usati nel nord degli Stati Uniti ed è una via di mezzo tra il boot da boscaiolo e la stringata alta da città. Se la qualità fosse migliore sarebbe possibile usarle tranquillamente anche su qualche sterrato o in campagna. E mi piace avere delle scarpe di livello più basso a volte, mi diverte usarle senza alcun riguardo anzi mettendole proprio “alla frusta” per segnarle profondamente.

Spesso ho avuto grosse soddisfazioni ed un paio – che vi presenterò- le ho usate in ogni condizione meteo e dopo 8 anni reggono ancora. Vedremo queste. Il rapporto qualità-prezzo è tutto dalla loro parte, dopotutto solo per la qualità dei lacci e della suola cucita vi sfido a trovare qualcosa di simile nei classici megastore di calzature di basso livello. Impossibile. Per di più come avete visto qualche altra freccia a loro favore ce l’hanno. Vi ricordo il prezzo, 25 EURO!!! Che dire, io credo che tenendo conto dei limiti e se avete bisogno di un paio di scarpe da maltrattare magari per andare a spasso senza impegno, portare a spasso il cane nei prati, o qualche lavoretto o per sperimentare uno stile country-casual a basso prezzo … possono andare.

Certo non hanno nulla di qualità che faccia presagire una lunga durata e quindi sono tutto l’opposto di quanto consiglio di solito per di più colorazione, fodera e suola sono quanto di più chimico si possano trovare anche se NON puzzano di petrolati. Diciamo che la sostenibilità non è il loro punto forte! Dopotutto il loro produttore è … … AMAZON! Ebbene si, sono le scarpe a marchio Find e arrivano dal Portogallo. Questo aggiunge altre considerazioni in tema di sostenibilità, etica e produzione che se vorrete, farete. Se non ne avete BISOGNO lasciate stare, altrimenti prendetele in considerazione; quantomeno nel loro segmento hanno dei pregi che le rendono più affidabili.

Buoni passi!

Giacomo.

Come nascono i nostri acquisti? Come ottimizzarli?

Creare un guardaroba sostenibile e vantaggioso per voi, il vostro portafoglio e il pianete è ampiamente nelle vostre possibilità. E vi conviene.

Un po’ di giorni fa mi trovavo in provincia di Milano e avevo qualche oretta letteralmente da perdere. Purtroppo intorno non c’era nulla di interessante, pioveva e così mi sono dovuto mio malgrado infilare in un grosso centro commerciale. Andavo in giro polleggiando tra un negozio e l’altro quando ho pensato : “perchè non dare un’occhiata a cosa vendono nei soliti multibrand di calzature che ci sono qui dentro?” E così entro, anche perchè mi è capitato a volte di trovare articoli discreti a poco prezzo che dopo qualche piccola modifica son diventati buoni.

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Lo confesso, il primo impatto è stato sconfortante: negozio “piatto” e freddo, senza alcuno stimolo non dico ad acquistare ma neppure a curiosare. Purtroppo questi sono negozi fotocopia quindi immagino bene o male sia la situazione generale. Comunque non mi scoraggio mai e comincio a gironzolare e dopo poco comincio anche a chiedermi: ma come si fa a comprare certa roba? Una qualità media bassa e non parlo solo dei materiali. Stile, 0. Fermi a 10 anni fa, con la continua esposizione ad instagram che mediamente uno ha non capisco come sia possibile una tale differenza. Si passava da un classico preistorico (sopratutto per l’uomo) ad una trash estremo, questo sopratutto nel settore donna. Sui materiali, preferisco soprassedere, è la prima cosa su cui si risparmia soprattutto per le suole. Perchè anche se tanti acquirenti hanno un pelo di attenzione in più per la tomaia quasi nessuno ne ha per la suola. Ma nonostante la bassa qualità generale i prezzi non sono adeguati, anzi. Spesso la cifra richiesta è davvero sproporzionata, il rapporto qualità-prezzo totalmente sbilanciato.

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Perchè esistono negozi simili ? Non vuole essere una domanda snob, sia chiaro e ve ne illustro subito il senso. Nonostante l’attuale crisi generalizzata non dico continuino a prosperare, perchè le notizie di chiusure varie sono quasi all’ordine del giorno. Ma comunque resiste un certo tipo di proposta merceologica. Io credo sia dovuto a pigrizia indotta. Dagli anni del boom dei negozi di fast-fashion c’è stato un graduale ma inesorabile cambio di tendenza, volto sempre ad offrire enormi quantità di merce a prezzi ridotti ma con un margine di risparmio per cliente sempre minore. Il risultato finale di questo procedimento è stato una fidelizzazione di più generazioni di clienti che non tendono più ad accorgersi della “trappola” perfettamente organizzata.

Lo schema è stato fondamentalmente questo: nascita brand fast-fashion con prodotti da un corretto/ vantaggioso rapporto qualità-prezzo — lasso temporale in cui questo si è mantenuto — graduale calo della qualità ma non dei prezzi —lasso temporale di mantenimento di tendenza — calo qualità e prezzi — lasso temporale di mantenimento di tendenza — > tendenza degli ultimi anni : bassa qualità stabile ma rialzo dei prezzi. A ben vedere questo procedimento è perfetto; si è svolto nel giro di una 15ina d’anni tanto quanto basta a renderlo quasi impercettibile ma nel contempo far si che l’offerta si fosse mantenuta allettante e diventasse praticamente un’usanza consolidata. Al momento chi compra in certi posti cade in una trappola auto-costruita grazie alla comodità di non dover girare più negozi per trovare quanto si cerca. E’ tutto lì, a portata e qualsiasi stile si cerchi con la convinzione CHE NON CI SIANO POSTI IN CUI SIA POSSIBILE CON LA STESSA CIFRA AVERE DI MEGLIO!! E questa convinzione viene rafforzata da opportuni claim pubblicitari ogni volta che entrate in store e pompata alle stelle durante i “saldi”.

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Eccola la fregatura indotta da anni di lavoro sottile. E ci si è caduti dentro con tutte le scarpe, è proprio il caso di dirlo. Perchè quanto poteva essere vagamente reale 15 anni fa non lo è assolutamente più ora. Ma si è persa l’abitudine a pensarlo ed a cercare al di fuori dei confini auto-imposti dalla nostra poca voglia e mancanza di tempo. E questo è stato trasmesso involontariamente dai genitori alle generazioni successive, una specie di catena infinita. Eppure vi assicuro che riesco ad oggi a trovare scarpe con un buon rapporto qualità-prezzo semplicemente girando per più negozi della mia città o limitrofi a prezzi uguali o di poco superiori a quelli proposti nei megastore. In cosa si traduce questo? In articoli che durano di più, che riescono tranquillamente a superare magari 3-4 stagioni autunno/inverno diventando parte del vostro guardaroba, lasciandovi modo di abbinare e costruire intorno a certi pezzi un vostro stile che potrete mantenere negli anni appena vi renderete conto di aver trovato la linea giusta. E questo si traduce in grandi risparmi di denaro e anche tempo. Perchè non dovrete più girare per centri commerciali e negozi in cerca di parcheggio e articoli che vi sedurranno al momento per poi lasciarvi con l’amaro in bocca dopo pochi utilizzi.

Vi ripropongo l’etichetta per identificare i vari materiali che compongono la scarpa.

E così, senza quasi accorgervene, diventerete più SOSTENIBILI. Perchè il primo vero punto della sostenibilità è acquistare articoli che non si rivelino usa-e-getta, con la caratteristica di avere una vita più lunga e possibilmente siano anche riparabili. Quindi se voi da domani cominciaste a toccare, osservare, fermarvi un attimo prima di lanciarvi in un acquisto compulsivo comincereste davvero a fare la differenza sia per voi che per l’intero sistema mondo. Perchè sostenibilità non è solo comprare cibo bio o articoli certificati come tali. E’ anche regolare le nostre abitudini in maniera tale che siano sostenibili. E che vi piaccia o meno, il motore del mondo dalla notte dei tempi è il commercio e le vostre abitudini, indotte o meno, sono quello che ne regola l’andamento.

Quindi sappiate che il cambiamento è nelle vostre mani e nei vostri…piedi. Tra l’altro, parlando di scarpe migliore qualità = migliore salute con conseguenti minori spese a riguardo. E’ tutto collegato ed è assolutamente alla vostra portata, fin da subito. Buoni passi e a presto.

Giacomo.

Come amare l’alta moda…

… se non viene consentito neppure vederla? A questo proposito ha destato scalpore la notizia che il giorno 26 settembre 2020 Giorgio Armani per la prima volta ha fatto sfilare la sua linea per la stagione primavera-estate in diretta tv su di una rete privata, LA7 per la precisione. E io direi anche un bel “era ora!”

Si perchè tutta questa segretezza, questo alone così effimero di esclusività ha allontanato la gente non tanto dal lusso ma dal sogno che esso rappresenta per molti. E’ vero ci sono i vari social e bla-bla-bla ma vi assicuro che assistere ad una sfilata vera e propria è tutta un’altra storia, sensazione, coinvolgimento rispetto al vedere 4 foto sul web. Perchè le sfilate non son mica preparate da 4 scappati di casa eh! C’è un filo conduttore che regola lo show, le musiche, le luci ed oggi come oggi che un buon 70% della popolazione ha in casa almeno un megaschermo turbo3D potete immaginare cosa voglia dire assistervi anche solo a distanza!

Che ben vengano gli show, i dietro le quinte, le spiegazioni, i particolari, le curiosità, i prezzi stratosferici riferiti a lavorazioni al limite del sogno perchè così si coinvolge, si incuriosisce, si stimola la fantasia anche dei più giovani che oltre a dire “un giorno anch’io sfilerò per Lui” magari azzarderanno anche un “un giorno io sarò un sarto più bravo di Lui” !!! Gli abiti che ammirate all’interno delle boutique più prestigiose non appaiono per miracolo pronti&fatti, ma sono il lavoro di persone che svolgono un ruolo essenziale nel successo del brand.

Il lusso è stato per decenni qualcosa il cui valore si poteva percepire al solo sguardo, senza doverne vedere il prezzo che anzi quasi mai veniva esposto così da caricarne ancora di più la simbologia di oggetto per pochi. Ma era facile riconoscerlo, anche per i non addetti ai lavori.

Aveva quella carica di esclusività che la sovraesposizione inconsulta di oggi ha praticamente azzerato riducendolo ad un fast-fashion per ricchi ed arricchiti. Anche per questo è importante un ritorno a ritmi più attinenti al reale scorrere delle stagioni/collezioni. Attualmente non si riesce ad apprezzare un oggetto nel suo complesso che già te ne viene proposto un’ altro. Pensare, desiderare, pianificarne l’acquisto sono tutte fasi che il cliente sopratutto di lusso/alta moda deve poter gustare, apprezzare anche per avere la sensazione di ritorno di qualcosa di realmente esclusivo. Ed Armani, fatalità, è stato ancora una volta il primo a capirlo. Poi, se avete visto la sfilata capirete perchè sia considerato tutt’ora “Re Giorgio”; capi da sogno pur essendo dotati di linee e colori assolutamente sobri ed eleganti pur restando contemporanei.

Io credo, nel mio piccolo, che si dovrebbe ascoltare il sentire di un artista che da decenni e senza cali detta legge e linee in un mondo tanto variegato quanto è quello della moda.

Perchè se questa capacità non fosse appannaggio di pochi allora non saremmo qui a parlarne,motivo in più per darle valore e attenzione.

Il lusso VA mostrato ma con l’intenzione di farne percepire non solo il valore economico ma sopratutto quello simbolico dato dai materiali e dalla manodopera inarrivabile alla massa, quindi ben più esclusivo.

Invece negli ultimi anni, dato che la situazione economica ha portato sempre più alla scomparsa della classe medio-spendente, molti hanno puntato sul far credere che il lusso potesse essere inteso anche solamente come un fatto dipendente unicamente dal brand. Così si sono resi accessibili alcuni articoli con un prezzo alto-ma-non-troppo puntando sul senso di prestigio sentito da parte dell’acquirente ma facendone, di fatto, sparire l’anima che ne ha portato la nascita. E la cultura che ne derivava.

Quindi non credo ci sia nulla di male, anzi, nel riportare sotto i riflettori quanto di più bello uno stilista sia in grado di creare. E che la gente venga FOLGORATA da un tale show e dimostrazione di maestria tanto da cominciare a riflettere su cosa veramente sia moda, cosa sia qualità e come ottenere articoli che possano il più possibile coniugare queste caratteristiche con prezzi a loro accessibili.

Una volta si diceva chi più spende meno spende perchè ad un alto prezzo corrispondeva un’ altrettanto elevata qualità. Quindi l’oggetto in se aveva una durata maggiore. Aiutare a riformare il gusto per tutto ciò, la cultura di ciò dovrebbe essere il compito di chi vive, chi respira il bello, il ben fatto, la passione della creazione. E diffondere questo il più possibile può innescare un circolo virtuoso che porterebbe benefici al commercio, alle relazioni interpersonali, alla salute dell’ambiente. Per chi l’avesse persa ecco il link alla sfilata di Armani all’ultima Milano Fashion Week, spero sia ancora visibile quando leggerete questo :

https://milanofashionweek.cameramoda.it/it/brands/giorgio-armani-sfilata/

Se davvero si vuole fare un passo indietro per recuperare certi principi e riportarli al di fuori di circoli ristretti serve anche questo e i grandi stilisti potrebbero essere il volano di un’altro grande cambiamento, stavolta più consapevole.

Buoni passi

Giacomo.

CAMBIERA’ LO SHOPPING??

VOI CHE LEGGETE L’ARTICOLO AL LINK QUI SOTTO…

I negozi valutano saldi a settembre

Cosa ne pensate? VOI avevate preso in considerazione i saldi per i vostri prossimi acquisti? Ma sopratutto, avrà ancora senso parlare di saldi in futuro o perlomeno così come vengono gestiti oggi? C’è davvero qualcuno convinto che tutto questo non avrà conseguenze sul modo di vedere gli acquisti da parte delle persone, sul cambio di priorità, sulle possibilità di spesa, sull’approccio al nuovo. Come se -puf- passa la nuvoletta e giusto il tempo di asciugarsi un po’ e si ricomincia tutto come prima. Smaltire l’invenduto va bene, nulla deve andare sprecato e buttato ora più che mai MA se fatto in un’ottica nell’immediato futuro di cambio radicale del sistema produzione-vendita.

A riguardo condivido la posizione del Sig. Saverio Severini nell’articolo: In primis rallentare i tempi della moda, le risorse utilizzate per imbastire tutto il “circo” di cui vive e che serve a tenere in un costante stato di attenzione l’utente finale per non fargli perdere mai interesse verso l’argomento. Così da indurre l’istinto di emulazione dei vari testimonial fino al momento in cui viene dato libero sfogo a questo a tutti i livelli, anche e sopratutto di prezzo. Prezzo FINALE, senza tener conto di qualità sia del prodotto che della vita di chi produce. Che produce letteralmente montagne di articoli con miriadi di varianti, una sovrapproduzione che poi HA BISOGNO dei saldi per addirittura un mese o più, altrimenti come smaltisci non una ma spesso più stagioni residue ?

 

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Perchè c’è da cambiare il rapporto con il cliente non solo a livello di vendita ma sopratutto a livello di cultura, tornare a far percepire il valore reale di ciò che si vende, ed anche la DIFFERENZA di qualità tra prodotti con grosse differenze di prezzo ma magari estetica simile. Basta illudere la massa, l’effettivo rapporto qualità-prezzo deve tornare ad essere chiaro a tutti. Così tutti i livelli beneficeranno di una produzione ed un consumo più equilibrati. Ma solo chi fa e sopratutto vende può dare la spinta per questo processo. Trattando il cliente in maniera più attenta, facendolo sentire seguito e anche guidato verso ciò che più è adatto a lui/lei.

E così risvegliamo l’interesse, poi supportato dalle infinite possibilità di informazione del mondo di oggi. Chi lavora “nel bello” dovrebbe sentire una sorta di responsabilità verso ciò, perchè come fa un maestro elementare può iniziare a formare chi si trovi letteralmente a digiuno di nozioni a riguardo. E sappiatelo, nell’immediato futuro il mercato ALTO non guarderà più il brand, ma l’esclusività data dal prezzo rapportato al pezzo unico.

Fatemi sapere che ne pensate

Buoni passi

Giacomo.

 

RITORNO AL FUTURO!

Vedete il “ragazzo” con il cappellino? È Matteo Ward ed ho avuto il piacere di ascoltarlo alla scorsa Venice Fashion Week.

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Vi assicuro che sentirlo parlare, conoscere la sua storia e quel che fa è davvero fonte di energia e ispirazione. Oggi più che mai c’è necessità di rivoluzione. O meglio, di un ritorno a quelle basi che hanno consentito l’evoluzione della nostra società e dei cosiddetti “mestieri” in primis; ovviamente adattato, trasportato nell’era odierna ed alle sue necessità senza lasciarsi alle spalle valori e principi base. Lui lo ha fatto, guardatevi il video e capirete come sia possibile la fusione di tradizione e futuro, ora più che mai. Abbiamo assolutamente mezzi e cervelli adatti a farlo, noi Italiani poi!!! Con l’inventiva e lo spirito di adattamento che ci contraddistingue da sempre potremmo creare un nuovo modello di fusion-industry primo al mondo….

Non credo sia più tempo di passeggiare, si rischia di restar indietro in questa occasione incredibile che questo momento storico ci sta consegnando; quando ci si potrebbe aspettare più recettività?!

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L’India a due passi…

… dal nostro guardaroba!

Tutti noi possiamo avere un pezzettino di storia ai nostri piedi, magari la state già indossando ora, grazie agli Jodhpur. Vi starete domandando di che fantomatica scarpa staremmo mai parlando….

Dall’ India addirittura, una nazione così poco conosciuta per certi articoli e che nell’immaginario comune assume connotati mistici e affascinanti come i suoi colori, le spezie e i tessuti finemente lavorati. Eppure chissà quanti di voi che state leggendo ha un paio di queste calzature nel proprio guardaroba!

Come al solito un pizzico di storia: questi stivaletti nascono verso la fine dell’800, in India appunto e venivano usati dai coloni britannici per andare a cavallo e giocare a polo. Oddio, a voler essere del tutto precisi questo era il nome dei pantaloni indossati con lo stivaletto classico da equitazione: il particolare più importante era alla coscia, con un allargamento extra sull’anca per consentire il movimento laterale delle gambe mentre si cavalcava.

Il nome deriva dalla capitale del Rajasthan. La città fu fondata nel 1459 da Rao Jodha Rathore, appartenente alla casta dei guerrieri Rajput, che ne fece la capitale dello stato di Marwar, sostituendola a Mandore.

Tornando alla calzatura, ebbe un’evoluzione per un utilizzo più “casual” diciamo che portò ad accorciarli un po’ ed ebbero un tale successo già negli anni ’20 del 900 che in Europa divennero una vera e propria tendenza. Le caratteristiche ricorrenti e distintive del modello sono:

  • punta arrotondata
  • tacco basso
  • chiusura tramite cinghiette fissate al lato interno, incrociate all’altezza della caviglia, che attraversano un passante nel retro dello stivaletto.

Non ci sono regole fisse per il tipo ti pellame ed il colore, ad oggi vengono prodotti in ogni modo e da qualunque brand o artigiano poiché rappresentano una scelta davvero versatile, che può tranquillamente entrare a far parte dei classici dell’abbigliamento smart-casual. La versione in cuoio scamosciato è la più comune e quando ben realizzata e rifinita con dettagli curati, di alta qualità, può fare capolino anche su di uno stile che tenda al casual-formale; avendo però la “sprezzatura” giusta!

La loro evoluzione più nota e più commercializzata sono i Chelsea Boots, nati negli anni ’60. Questi stivaletti alla caviglia hanno, al posto delle cinghie e fibbie, una banda elastica sui lati. Ebbero la loro massima diffusione grazie al movimento dei “MOD” , frequentatori di bar e sale da ballo dallo stile ricercato e consumatori di anfetamine.

Questi stivaletti alla caviglia sono comodissimi da infilare e togliere e danno un solido sostegno senza bisogno di stringhe; se icone come Beatles e Rolling Stones li indossavano chi voleva essere alla moda non poteva farne a meno.

Una piccola nota tecnico-storica extra: le bande erano in gomma VULCANIZZATA, un processo di lavorazione della gomma inventato da Charles Goodyear nella prima metà del 19° secolo.

Oggi costituiscono un capo d’abbigliamento molto versatile, che ben si abbina con differenti stili passando con disinvoltura dal country-cittadino al dandy o per i momenti più leggeri del gentleman classico.

E durante le mezze stagioni sono un bel jolly da giocarsi, sia uomo che donna. Ve ne sono ovviamente di varie fogge e prezzi, starà a voi individuare quelli che più risponderanno alle vostre idee, stile e necessità. Se per qualunque motivo vi fosse difficile fare ciò, contattatemi.

A presto e … Buoni passi!

Giacomo.