Guerra&Pace, dalla trincea alle sfilate.

E’ arrivato l’inverno e, con il freddo, escono dal letargo le calzature più robuste e calde che possediamo. Tra queste spiccano sicuramente, per molti di noi, gli stivali. Un paio di stivali può essere confortevole, durevole e pratico. Questo però non vuol dire che non possa essere anche bello.In questa categoria possiamo inserire gli scarponcini allacciati militari, in particolar modo quelli americani e tedeschi, del dopo guerra. Gli scarponcini da combattimento originali erano dotati di suole chiodate e lastre metalliche di rinforzo su puntale e tallone.

Negli anni ‘60 e ‘70 questo tipo di calzature venne adottato come tratto distintivo di culture urbane come punk, skinhead, rocker.

Come si può ben vedere, dallo stile originale ad oggi, non sono stati apportati grossi cambiamenti. Anzi,mai come in questi ultimi anni la foggia dei cosiddetti “anfibi” è stata così simile all’originale.

Nel tempo ovviamente sono quasi scomparsi i rinforzi metallici, per renderne l’uso giornaliero più confortevole, e permettendo così il loro diffondersi nello stile di tutti i giorni, estendendo il loro uso anche alle donne, trascendendo la classe sociale.

Ma -CHI- , realmente, fece compiere a questa calzatura il balzo che, tutt’oggi, le consente di dominare una buona fetta di mercato?!

Il principale innovatore di questo prodotto è stato il Dottor Klaus Maertens, un medico militare tedesco in servizio nella seconda guerra mondiale. Nel 1945 si infortunò ad una caviglia mentre sciava sulle alpi bavaresi e, durante la convalescenza, si rese conto di quanto fossero diventati scomodi i suoi scarponi d’ordinanza. Quindi si mise al lavoro e, assieme ad un compagno di università, il Dottor Herbert Funck, ne progettò un paio con tomaia più morbida e suole speciali, imbottite.

Dopo la guerra ne avviò la produzione, utilizzando scarti di gomma da aeroporti militari per rendere le suole più comode. Iniziò il successo e la diffusione in varie classi sociali di entrambi i sessi, tanto che alla fine degli anni ‘50 avevano sbaragliato la concorrenza sul mercato tedesco.

In Gran Bretagna i due soci vendettero il brevetto alla R. Griggs del Northamptonshire, che nel 1960 lanciò i 1460: un modello ad otto buchi color bordeaux.

E’ l’inizio di un successo mondiale ed universale.

La Griggs non solo rese più familiare il nome eliminando la dieresi, ma cambiò il tacco, aggiunse le classiche cuciture gialle e inserì il nome AirWair sulle suole di gomma ammortizzate con cuscinetto d’aria. Questo nuovo look consacrò definitivamente l’estetica Dr.Martens.

La produzione si diversificò abbastanza velocemente anche se, all’inizio, non brillava per varietà di modelli. Era comunque una scarpa comoda e resistente, che andò a ruba tra postini, poliziotti ed operai.

Nel corso del tempo gli anfibi Dr. Martens vengono prodotti in una vasta gamma di colori vivaci, motivi trendy, varie misure del gambale.

Alcuni modelli diventano delle vere icone, influenzando irreversibilmente la produzione di massa degli scarponcini di stile militare. Ne vengono realizzate anche molte “Limited Edition”

Un’ulteriore evoluzione, alquanto furba oserei dire, fu quella del modello “Beatle”, ossia il tipico stivaletto inglese portato al successo dai “FabFour”.

Ecco la perfetta fusione dell’idea Tedesca con lo stile Inglese più classico. Inutile dire quanti abbia fatto felici questa versione, strizzando l’occhio ad uno stile più neutro, adatto al daywear.

Inoltre, nel 2009, la collaborazione tra il marchio Dottor Martens e lo stilista Jean Paul Gaultier si concretizzò in nuovi e sorprendenti modelli, caratterizzati sopratutto da un decoro a rete realizzato al laser. Questo portò i Dr Martens a sfilare sulle passerelle di tutto il mondo!

Non c’è bisogno d’altro, credo, per avere conferma dell’importanza di questa scarpa nella storia recente della calzatura, veramente mondiale. Ha saputo infatti superare i decenni evolvendosi senza perdere lo spirito originale ma, anzi, acquistandone in versatilità.

Questo nuovo articolo spero dimostri come, anche i modelli più osteggiati dai puristi della calzatura, possano acquisire un grande valore culturale e storico. In più vorrei invitarvi ad un’ulteriore riflessione; questa è la storia di un successo che passa attraverso la genialità e l’intraprendenza di persone appartenenti, fatalità, a 3 nazioni tra le più profondamente separate tra loro dalla guerra e dalla storia. Un prodotto, nato dallo scarto di un’evento tremendo a livello socio-culturale, che ha saputo diventare simbolo di sottoculture prima, e di unione poi.

Buoni passi, a presto.

Ed ora si vola. Uno, due, tre…tacco!

Questa volta parliamo del “tacco alto” e di una sua curiosa evoluzione. Come sempre facciamo prima un piccolo excursus storico.Dalla sua apparizione nella moda occidentale, alla fine del XVI secolo, il tacco alto è sempre stato un mezzo potente, carico di significati e valenze differenti.
La sua origine è incerta e diversi i luoghi possibili della sua origine: Polonia, Persia, Impero Ottomano, Cosacchia, India.

Quello che invece appare chiaro da sempre invece, è che la sua adozione è un segno di ricchezza, stile e status sociale. L’associazione tra tacco alto e posizione sociale durò con forza per tutto il ‘700 mentre apparvero anche le prime distinzione di genere.
Solo all’inizio del XVIII secolo divenne accessorio esclusivamente femminile.

Nel corso degli ultimi 400 anni ha subito variazioni, attraversato momenti di massimo splendore ed esaltazione, momenti di buio ed avversione. Adorato od osteggiato il tacco alto ha cambiato foggia, altezza, significato.
Facciamo un balzo storico, superiamo gli anni della seconda guerra mondiale (durante la quale ebbe un parziale oscuramento, le donne dovevano svolgere i lavori degli uomini che erano al fronte, servivano calzature comode per donne forti) ed arriviamo a metà degli anni 50.
Roger Vivier ne disegna la versione moderna, inserendo una sottile barretta di acciaio all’interno del tacco che ne rafforzò la struttura rendendo possibile allungarlo ed assottigliarlo ottenendo di conseguenza il risultato di slanciare ed assottigliare le gambe risaltando i glutei. Il tacco divenne, a seconda del momento storico-culturale, adottato da culture e movimenti che gli attribuirono significati diversi.

Roger Vivier for Christian Dior, Shoes, 1955, The Metropolitan Museum of Art, New York

La vita del tacco dal dopo guerra ai primi anni ’90 è travagliata e fatta di “alti e bassi”. E’ alla fine degli anni ’90 con l’esplosione di designer del calibro Manolo Blahnik & Christian Louboutin che i tacchi altissimi diventano un’icona di stile, basti pensare alla celebre serie TV “Sex and the City”. Dopo aver resistito per secoli, superato guerre ed essere stato osannato, il suo posto inscalfibile nella moda sembra essere assicurato. Il tacco alto è intramontabile…o NO?!

Parrebbe proprio di No!

Anno 2000.
Il giovane stilista italo-inglese Antonio Berardi porta sulla scena delle sue sfilate gli stivali senza tacco. Vero esercizio di stile e tecnica costruttiva, grazie ai loro elementi bizzarri, sperimentazione e teatralità, ebbero il successo che meritavano.
Il tacco, con tutto il suo simbolismo, sparisce, azzerato.
Questa mossa dona un po’ di importanza al piede che fino ad allora veniva relegato al ruolo di cornice rispetto al tacco ed al suo magnetismo.

 

 

 

 

 

Il doversi trasformare in equilibriste non fermò le più appassionate sostenitrici della moda e del design (una su tutteVictoria Beckham) e così, altri stilisti si diedero da fare creando varianti di questo “magico” oggetto.

E sulla stessa scia videro la luce le collezioni di United Nude, Kei Kagami e del già citato Noritaka Tatehana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

… per continuare con quelle che son le più fantasiose in quanto a struttura: le “scarpe origami “ disegnate da Catherine Meuter, le EIN/TRITT.

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse sono le più interessanti, coinvolgono il consumatore finale nella loro costruzione ed essendo un vero e proprio origami, la confezione dà innegabili vantaggi nello stoccaggio e nel risparmio di materiale.

Concludiamo in grande stile, con l’intuizione di quel poliedrico genio che è Karl Langerfeld. Agli inizi degli anni 2000 anche lui, per le sfilate di Fendi, si diverte creando un sandalo senza tacco o con “tacco sospeso”. La differenza la fa un’intuizione degna di lui, proposta in due varianti, di uno stiletto sospeso su di una suola rifinita all’interno a specchio, o appoggiato sulla stessa, diventando uno “stiletto inverso”. In più l’altezza non è vertiginosa quindi, come le EIN/TRITT, sono più facilmente indossabili.

Questo piccolo viaggio, nel tempo e nello stile, che abbiamo compiuto anche oggi, finisce qui. Quello che sicuramente non termina, è il viaggio del TACCO ALTO con le sue forme, dimensioni e utilizzi differenti, che continuerà a portarci a spasso ancora a lungo.

Buoni passi!

Giacomo.