UGG BOOT, un nome un mistero…

La storia di questi stivali australiani comincia ben prima del loro recente successo commerciale a livello mondiale.


Il nome “UGG BOOT” viene infatti utilizzato fin dagli anni ‘50 per indicare un qualsiasi modello di stivale in pelle di pecora. Dato che in inglese “ugly” significa “brutto” si potrebbe pensare che servisse anche per indicare la loro particolare bruttezza ma…lasciamo perdere!

La pelle di pecora ha una caratteristica che la rende veramente fenomenale : d’inverno tiene le estremità al caldo, d’estate invece, al fresco. Questo permette di essere una pelle sfruttabile durante tutto l’anno.

Negli anni ‘60 vennero usati da una comunità di surfisti nella zona di Perth , tra una cavalcata sulle onde e l’altra tenevano i piedi al caldo anche se bagnati ( cosa assai importante per non perdere sensibilità sulla tavola ) e divennero così presto simbolo di un intero universo culturale. Nel 1978 un surfista australiano , con spiccato spirito imprenditoriale, Brian Smith , li esportò in California. Ci volle un po’ e qualche difficoltà da superare per farli accettare ma riuscì ad inserirsi nel mercato americano.

 Depositò il marchio UGG e dopo circa 20 anni, divennero il successo commerciale che oggi tutti conosciamo.

Nel 2011 venne creata anche la linea dedicata all’alta moda, di cui qui possiamo vedere una brillante testimonianza nella cornice della mia bella Venezia.

Collezione speciale a parte, gli “UGG” sono l’effettiva dimostrazione di come, a volte , la comodità possa avere la meglio sull’estetica. Sopratutto quando supportata dalla giusta immagine, storia, stile e marketing.

PS : piccola precisazione tecnica; non sono ASSOLUTAMENTE impermeabili.

Se PROPRIO doveste utilizzarli in situazioni di pioggia – neve prima date una bella spruzzata di impermeabilizzante.

Questo è il migliore in assoluto. Incolore.
Per eventuali domande o curiosità, scrivetemi.

A presto e… Buoni passi!


Giacomo.

Ma la numerazione delle scarpe, com’è nata?

LE MISURE DELLE SCARPE

L’unità di misura standard che viene utilizzata fin dal 18° secolo è IL PUNTO. Il problema è che ogni nazione aveva il suo modo di valutare la misura del punto. Questo cambiò solamente verso la fine del 19° secolo,quando nacque un mercato di massa per le calzature.

La misura FRANCESE :

Il punto francese ebbe grande diffusione fin dall’inizio del 19° secolo ; esso misura 2/3 di 1cm,cioè 6,667mm. Ben presto però,per renderlo più efficiente,venne introdotta la mezza misura,

La misura INGLESE :

Fu creata del 1324 dal sovrano Edoardo II. Egli stabilì che 3 grani d’orzo messi uno in fila all’altro misurano 1 pollice – 2,54cm. E che 12 pollici misurano 1 PIEDE – 30,48 cm.

L’unità di misura delle scarpe inglesi è la lunghezza di un grano d’orzo, 1/3 di pollice : 0,846cm.

Per aumentare la precisione si passò presto alle mezze misure anche qui, cioè 0,423cm.

La misura AMERICANA :

Praticamente identica a quella inglese,con la sola differenza che la prima misura americana inzia 2,116mm prima di quella inglese.

Ed ora si vola. Uno, due, tre…tacco!

Questa volta parliamo del “tacco alto” e di una sua curiosa evoluzione. Come sempre facciamo prima un piccolo excursus storico.Dalla sua apparizione nella moda occidentale, alla fine del XVI secolo, il tacco alto è sempre stato un mezzo potente, carico di significati e valenze differenti.
La sua origine è incerta e diversi i luoghi possibili della sua origine: Polonia, Persia, Impero Ottomano, Cosacchia, India.

Quello che invece appare chiaro da sempre invece, è che la sua adozione è un segno di ricchezza, stile e status sociale. L’associazione tra tacco alto e posizione sociale durò con forza per tutto il ‘700 mentre apparvero anche le prime distinzione di genere.
Solo all’inizio del XVIII secolo divenne accessorio esclusivamente femminile.

Nel corso degli ultimi 400 anni ha subito variazioni, attraversato momenti di massimo splendore ed esaltazione, momenti di buio ed avversione. Adorato od osteggiato il tacco alto ha cambiato foggia, altezza, significato.
Facciamo un balzo storico, superiamo gli anni della seconda guerra mondiale (durante la quale ebbe un parziale oscuramento, le donne dovevano svolgere i lavori degli uomini che erano al fronte, servivano calzature comode per donne forti) ed arriviamo a metà degli anni 50.
Roger Vivier ne disegna la versione moderna, inserendo una sottile barretta di acciaio all’interno del tacco che ne rafforzò la struttura rendendo possibile allungarlo ed assottigliarlo ottenendo di conseguenza il risultato di slanciare ed assottigliare le gambe risaltando i glutei. Il tacco divenne, a seconda del momento storico-culturale, adottato da culture e movimenti che gli attribuirono significati diversi.

Roger Vivier for Christian Dior, Shoes, 1955, The Metropolitan Museum of Art, New York

La vita del tacco dal dopo guerra ai primi anni ’90 è travagliata e fatta di “alti e bassi”. E’ alla fine degli anni ’90 con l’esplosione di designer del calibro Manolo Blahnik & Christian Louboutin che i tacchi altissimi diventano un’icona di stile, basti pensare alla celebre serie TV “Sex and the City”. Dopo aver resistito per secoli, superato guerre ed essere stato osannato, il suo posto inscalfibile nella moda sembra essere assicurato. Il tacco alto è intramontabile…o NO?!

Parrebbe proprio di No!

Anno 2000.
Il giovane stilista italo-inglese Antonio Berardi porta sulla scena delle sue sfilate gli stivali senza tacco. Vero esercizio di stile e tecnica costruttiva, grazie ai loro elementi bizzarri, sperimentazione e teatralità, ebbero il successo che meritavano.
Il tacco, con tutto il suo simbolismo, sparisce, azzerato.
Questa mossa dona un po’ di importanza al piede che fino ad allora veniva relegato al ruolo di cornice rispetto al tacco ed al suo magnetismo.

 

 

 

 

 

Il doversi trasformare in equilibriste non fermò le più appassionate sostenitrici della moda e del design (una su tutteVictoria Beckham) e così, altri stilisti si diedero da fare creando varianti di questo “magico” oggetto.

E sulla stessa scia videro la luce le collezioni di United Nude, Kei Kagami e del già citato Noritaka Tatehana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

… per continuare con quelle che son le più fantasiose in quanto a struttura: le “scarpe origami “ disegnate da Catherine Meuter, le EIN/TRITT.

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse sono le più interessanti, coinvolgono il consumatore finale nella loro costruzione ed essendo un vero e proprio origami, la confezione dà innegabili vantaggi nello stoccaggio e nel risparmio di materiale.

Concludiamo in grande stile, con l’intuizione di quel poliedrico genio che è Karl Langerfeld. Agli inizi degli anni 2000 anche lui, per le sfilate di Fendi, si diverte creando un sandalo senza tacco o con “tacco sospeso”. La differenza la fa un’intuizione degna di lui, proposta in due varianti, di uno stiletto sospeso su di una suola rifinita all’interno a specchio, o appoggiato sulla stessa, diventando uno “stiletto inverso”. In più l’altezza non è vertiginosa quindi, come le EIN/TRITT, sono più facilmente indossabili.

Questo piccolo viaggio, nel tempo e nello stile, che abbiamo compiuto anche oggi, finisce qui. Quello che sicuramente non termina, è il viaggio del TACCO ALTO con le sue forme, dimensioni e utilizzi differenti, che continuerà a portarci a spasso ancora a lungo.

Buoni passi!

Giacomo.